Con la sentenza che si allega, la Corte di Cassazione, per la prima volta, si esprime sulla compatibilità della figura del sequestro preventivo in sede penale e il fallimento in sede civile: e non un sequestro qualunque, bensì il sequestro ex d.lgs. 159/2011 (Codice Antimafia).
La questione prende le mosse dalla pronuncia della Corte d'Appello di Bari che ha accolto il reclamo della sentenza di fallimento di una società che era stata colpita da sequestro disposto per misura di prevenzione nel procedimento penale che la vedeva coinvolta (associazione mafiosa), sostenendo la radicale incompatibilità del fallimento con le misure di prevenzione penale la cui natura reale aveva attinto la società e tutti i suoi beni, così non residuando spazio per una concorrente liquidazione comune in capo al curatore.
La Corte precisa che aveva già avuto modo di pronunciarsi (sentenza n. 1739 del 2014), parzialmente, sulla questione. La sentenza del 2014 rilevava che l'insussistenza di massa attiva da ripartire fra i creditori non è di ostacolo alla dichiarazione di fallimento, per il quale è addirittura prevista la chiusura per insufficienza di attivo (art. 118 co. I n. 4 L.F.).
Prosegue la Corte sostenendo che i giudici di appello di Bari non hanno tenuto minimamente conto delle possibili, ulteriori, azioni esperibili dal Curatore nominato e c.d. integrative dell'attivo (es. azione di responsabilità) e della possibilità che tale provvedimento di sequestro venga revocato.
Conclude la Corte sostenendo che le due procedure si fondano su presupposti differenti, che per il fallimento non sono ripetibili ad epoche diverse (presupposti oggettivi di insolvenza e soggettivi di fallibilità), ritenendo irrazionale una posticipazione della tutela dei creditori a fronte di un interesse pubblico che potrebbe divenire, addirittura, recessivo.
"Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori"
Con questo principio di diritto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto una questione nota agli addetti ai lavori circa la legittimazione del curatore fallimentare a chiedere il risarcimento del danno subito dalla massa dei creditori anche nel caso in cui si possa parlare di pagamento preferenziale da parte della società fallita e in sede penale gli imputati di bancarotta abbiano optato per il c.d. patteggiamento.
Infatti, in caso di patteggiamento, la posizione della parte civile (ovvero del curatore fallimentare costituito per il risarcimento dei danni subiti dalla massa) non viene decisa dal giudice.
La Corte di Appello di Milano aveva infatti escluso la legittimazione del curatore in sede civile, ritenendo che non vi fosse alcuna lesione della par condicio creditorum in relazione al pagamento preferenziale da parte della società fallita, essendo semmai legittimati i singoli creditori, perchè lese le singole posizioni soggettive individuali. Infatti per la Corte meneghina la massa creditoria (difesa dal curatore) manterrebbe la medesima consistenza anche in caso di pagamento preferenziale, perchè trattatsi di operazione considerata "neutra" per il patrimonio sociale: a fronte di una diminuzione dell'attivo, si avrebbe una esatta diminuzione uguale del passivo conseguente all'estinzione del debito (preferito).
Tale assunto viene definito dalle Sezioni Unite "palesemente erroneo" perchè ogni pagamento preferenziale, in una situazione di grave dissesto, può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto della par condicio.
Alleghiamo una importante circolare del direttore generale per gli incentivi alle imprese dello scorso 20 gennaio 2017.
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A presto lo sviluppo di due importantissimi progetti in merito.
State collegati.
Nella consuenta newsletter di dicembre il Garante della Privacy, interrogato sul possibile effetto del Diritto all'Oblio nel caso della diffusione di dati personali relativi a casi giudiziari gravi, si sofferma su tale aspetto "patologico" e sottolinea che "non si può invocare il diritto all'oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo".
L'Autorità italiana, nell'uniformarsi alle linee guida dei Garanti Europei, ha rilevato che sebbene il trascorrere del tempo sia una delle componenti fondamentali del diritto all'oblio, tale elemento incontra un limite nel caso in cui si intenda rimuovere informazioni relative a reati c.d. gravi o gravissimi, tali da destare un intenso e diffuso allarme sociale.
In particolare, nei reati contro la Pubblica Amministrazione o nei gravi reati contro la persona, assume particolare rilievo, per il Garante, l'aspetto sociale del reato stesso, che deve rimanere quindi impresso nelle pagine web, quasi a perenne monito.
Non si può concludere lasciando una domanda nel lettore: è più importante il diritto di cronaca e di critica o il diritto di essere eliminati dalle pagine web?
E se poi gli imputati, all'esito della prosecuzione del giudizio di primo grado, siano considerati innocenti?
Forse siamo ancora, come già più volte sottolineato, agli albori del Diritto all'Oblio, come effettivamente inteso dal legislatore.
La relazione illustrativa all'ultima legge di bilancio contiene uno stimolo al mercato italiano dei capitali che se effettivamente sfruttato potrebbe portare un immediato, certo, beneficio alle società quotate e, di riflesso, alle Start Up. Purchè queste ultime siano partecipate almeno per il 20%.
Le società quotate avranno quindi la possibilità di acquisire le c.d. perdite fiscali di esercizio di una Start Up e utilizzarle in diminuzione del reddito complessivo dei periodi di imposta successivi entro il imite del reddito imponibile e per l'intero importo.
La cessione avviene mediante la normale notifica all'ufficio delle entrate o al centro di servizio presso il quale è stata presentata l'ultima dichiarazione dei redditi del cedente, nonchè al concessionario del servizio di riscossione.
La S.p.a. che utilizza la perdita in diminuzione, non lo farà di certo gratuitamente: è previsto espressamente che tale vantaggio sarà conseguibile solo dietro idonea remunerazione del vantaggio fiscale ottenuto. Tali somme percepite o versate tra le società non concorrerano alla formazione del c.d. reddito imponibile.
Questa formula, che lo Studio ha deciso di condividere con gli internauti lettori delle nostre news, è già stato proposto ad alcune realtà imprenditoriale bresciane, riscuotendo una buona dose di ottimismo, soprattutto nelle Start Up innovative che hanno deciso di aderire a questo progetto ed hanno optato per una "sponsorizzazione" nuova e certamente efficace.